Il diritto di cittadinanza acquisito dallo straniero sulla base di un matrimonio contratto con cittadino/a italiano/a, ipotesi regolata dall’art. 5 della Legge n.91 del 1992 , costituisce una delle ipotesi speciali che derogano al principio generale dell’acquisto per ius sanguinis, ovvero per nascita da almeno un genitore che sia già cittadino/a italiano/a.
Il procedimento previsto da tale articolo è volto all’accertamento della sussistenza di determinati requisiti formali dell’istante e alla conseguente emanazione del provvedimento concessorio da parte del Prefetto territorialmente competente.
Fra questi requisiti, vige quello della costanza del vincolo matrimoniale per tutto il tempo necessario alla conclusione del procedimento; in mancanza di ciò, ad esempio a seguito di separazione o divorzio, la domanda già depositata diventa improcedibile.
Può accadere, tuttavia, che fatti imprevedibili occorsi nelle more del procedimento minino irreversibilmente l’interesse legittimo pretensivo dell’istante a diventare cittadino italiano. E’ questo il caso della premorienza del coniuge dell’istante, che, dato il termine massimo di 2 anni previsto per legge per la conclusione del procedimento, è di remota verificabilità. Si dovrebbe, all’esito di ciò, concludere per l’imporcedibilità della domanda, al pari dell’ipotesi di separazione o divorzio. Tuttavia i casi non possono essere assimilati, perché ontologicamente differenti, in primis per il discriminante fatto della non volontarietà dell’evento-morte che pur tuttavia produrrebbe i medesimi effetti giuridici di un atto volontario quale è la separazione o il divorzio. Vi è da aggiungere che l’atto di giuramento di fedeltà alla Repubblica ex art. 10 L.cit., che rappresenta l’atto integrativo dell’efficacia del decreto di concessione della cittadinanza, è vero e proprio atto di manifestazione di volontà che, in logica conseguenza con la domanda a suo tempo depositata, esprime nel suo complesso l’immanenza di una chiara volontà di ottenimento di un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica soggettiva, che non può, quindi, essere cassato da un evento non voluto né previsto come la morte della persona il cui status di cittadino italiano concorre in defettibilmente alla concessione del provvedimento medesimo.
Un caso di questo tipo è approdato alla scrivania dello Studio legale Grassi, che ha depositato formale istanza di rinvio alla Corte Costituzionale dell’art. 5 L. n.91 del 1992, per fondato dubbio di illegittimità sulla concessione della cittadinanza allo straniero, nella parte in cui non prevede espressamente la possibilità, per il richiedente, di vedersi riconosciuto tale diritto fondamentale anche nello (sciagurato) caso fortuito in cui il proprio coniuge italiano deceda durante i termini di conclusione del relativo procedimento amministrativo. In questi termini, appare contrario ai principi costituzionali di uguaglianza, buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione il subordinare, come sembrerebbe fare questa legge, il riconoscimento di questo diritto personalissimo alla totale imprevedibilità di un evento come la morte. Per altro, la legge di cui l’Avvocato Grassi ha chiesto il vaglio di legittimità non è nuova a questo tipo di sindacato: già nel 2017 cadde la scure della Corte sul diverso art. 10, che fu dichiarato incostituzionale nella parte in cui non prevedeva che fosse esonerata dal giuramento di fedeltà alla Repubblica la persona incapace di soddisfare tale adempimento in ragione di grave e accertata condizione di disabilità (Sentenza n.258 del 2017).
La nuova eccezione sollevata dallo Studio ronchese, tuttavia, abbraccia una platea di casi certamente più numerosi in tutta Italia rispetto a quelli regolati dalla Sentenza del 2017, che non si dubita potranno finalmente ricevere una parola definitiva di Giustizia su una legge che ha incassato non poche critiche anche in ambito dottrinario.